Su questa nave che avvolge la mia pelle
mangiata dalle paure e dal sale,
rimbombano i pensieri,
le preoccupazioni per la vita di chi come noi
viene definito carico residuale.
Siamo esseri umani
sopravvissuti a ogni tempesta,
alla guerra, alla fame,
ai pensieri per i figli
che chiedono di mangiare.
Siamo persone che come voi
non hanno ancora smesso di sognare,
di sperare che la nostra vita
col sacrificio nella tormenta
possa ancora migliorare.
Così andiamo incontro al mare
senza più pensare alle nostre terre usurpate,
ma apprestandoci a costruire un futuro
per noi e per i nostri figli,
esattamente come voi vi preoccupate
per i vostri figli.
Ma vi pare che veniamo da voi
per sport, per bighellonare, per il gusto di rischiare
di perdere la nostra vita in mare?
La nostra terra è piena di ricchezza
portata via,
è piena di dolcezza dal retrogusto amaro
e a malincuore la lasciamo,
e ogni istante nel cuore la pensiamo,
e piangiamo, esattamente come piangete voi
quando emigrate,
quando per lavoro o per studiare
siete costretti a lasciare i vostri affetti più cari,
le vostre terre amate, per andare in America,
in Scandinavia o in posti più lontani.
Anche noi piangiamo perché non possiamo
più vedere le nostre madri, i nostri amici,
perché non possiamo più sentire
le carezze delle mani familiari
e sappiamo che solo lavorando duramente
e mangiando la polvere
forse un giorno potremmo di nuovo
rannicchiarci nell'alcova sicura
di un abbraccio materno.
E noi lo accettiamo,
accettiamo di lavorare con fatica,
di sacrificarci per poter vivere e amare,
e poi amare ancora.
Già un sorriso dà calore alle mie labbra
se penso che mio figlio potrà studiare,
coltivare i suoi sogni, e magari innamorarsi,
crearsi una famiglia con meno affanni.
Quanto vorremmo restare nei nostri paesi,
nei luoghi familiari che ci hanno visto nascere,
che ci hanno cullato quando abbiamo emesso
i nostri primi vagiti,
che ci hanno accompagnato nella crescita.
Noi, come voi, amiamo la nostra terra
anche se è preda ogni giorno della tempesta,
della sofferenza, della fame cruenta,
del dolore senza sosta.
Ma ancora non ci abbandona la speranza,
e così ci immettiamo su un gommone
sapendo quanto sia rischioso affrontare il mare.
Pensate a quanto sia difficile la nostra vita
se per poterla migliorare
corriamo il rischio di annegare.
Abbiamo ancora voglia di toccare la terra con mano,
perché in fondo su questa terra i confini degli Stati non sono naturali,
sono definiti dagli uomini,
la terra è di tutti anche se purtroppo questo pensiero
fatica a diventare universale.
Intanto restiamo qui su questa nave,
a mangiare sale e ancora sale,
ma sappiate che non avete spento
la nostra voglia di sognare.
Caterina Alagna