A Matera

Lo scorso weekend mi sono affacciata poco sul blog perché mi sono concessa una pausa. Sono stata in una meravigliosa città del sud, definita dall' Unesco patrimonio mondiale dell'umanità, unica nella sua bellezza. Sto parlando di Matera. E' la prima volta per me in questa città e devo dire che me ne sono andata a malincuore perché Matera è una città che ti abbraccia con la sua arte, con la sua bellezza e con la sua tranquilla, ma mai spenta, vita cittadina. Non poche le cose da vedere che ti lasciano a bocca aperta.La città antica, meglio conosciuta come I Sassi, sorge su due nuclei: il Barisano e il Caveoso. Una volta che ti inoltri nei vicoli vieni avvolto da un'aura di rara bellezza che però mostra segni di un passato di sofferenza. E' possibile visitare alcune case, oggi musei, che sono state arredate con i mobili e gli utensili originali del periodo in cui erano abitate, donati dai discendenti delle famiglie che vi abitarono fino a metà del secolo scorso. Le case, scavate nelle grotte, non hanno all'interno l'aspetto delle nostre case, sono piuttosto caratterizzate da una sola stanza senza finestre e con un povero mobilio costituito da una piccola tavola, qualche mensola, da un'umile dispensa e un cassettone. Negli angoli di questa unica stanza troviamo minuscoli vani: il vano cucina,  il vano stalla ( all'esterno non c'era spazio per gli animali per cui li ospitavano in casa) e il vano notte costituito da un un letto e una piccola culla. Queste case erano abitate da poveri contadini, erano luoghi molto umidi privi di luce, di finestre, di porte e di acqua corrente. Possiamo solo immaginare, quindi, le condizioni malsane in cui vivevano: scarsa igiene, poco cibo, odore nauseabondo anche a causa della presenza degli animali in casa (dove immaginiamo espletassero i loro bisogni fisiologici). Inoltre erano abitate da nuclei di famiglie molto numerose. Ogni famiglia, infatti, aveva in media otto figli. Si veniva a creare un vero e proprio microclima deleterio per la salute. In questi territori erano diffuse molte malattie che provocavano vari focolai endemici: tubercolosi, leishmaniosi, rachitismo, polmoniti, malaria. Altissima la mortalità infantile, che arrivò  tra il 1923 e il 1933 a raggiungere percentuali addirittura del 45%. Nel 1945 Carlo Levi nel suo capolavoro "Cristo si è fermato ad Eboli" pose la questione materana all'attenzione della politica nazionale. Nel 1948, il leader del Partito comunista italiano dopo avervi fatto visita,  definì Matera "la vergogna nazionale". Dello stesso avviso fu il primo ministro Alcide De Gasperi quando vi fece visita nei primi anni '50 e con una legge del 1952 impose lo sgombero delle case grotte. I cittadini vennero trasferiti in nuove strutture che poi costituirono le abitazioni della città nuova. Solo negli anni '80 i Sassi vennero di nuovo rivalutati e iniziò un graduale percorso di recupero che portò nel 1993 l'Unesco a definire Matera patrimonio mondiale dell'umanità. Nel 2019 Matera è stata capitale europea  della cultura. Ad ogni modo, oggi quando ti inoltri nei piccoli vicoli dei sassi una forte emozione ti strugge il cuore. Grande attenzione merita il complesso di chiese rupestri scavate nelle grotte. Tra le  più importanti troviamo Santa Lucia alle Malve,  Santa Maria di Idris che sorge sulla sommità dell'omonima rupe e San Pietro Barisano. Purtroppo non ho potuto fare foto degli spazi interni di queste suggestive chiese in quanto era vietato. Ospitano, infatti, al loro interno numerosi affreschi importanti già deteriorati dal tempo ( alcuni ormai quasi totalmente perduti), è un modo, quindi, di preservare questo patrimonio artistico inestimabile. Meritano una visita anche tutte le meravigliose chiese della città nuova. Sono in realtà molto antiche anche se costruite fuori dai sassi. Alcune risalgono al 1200. Ovviamente non mancano i musei. Purtroppo la mia visita non è stata molto lunga per cui non ho potuto visitare le grotte del Paleolitico nel parco materano della Murgia in cui sono stati ritrovati utensili e pitture rupestri risalenti a 400.000 anni fa, periodo in cui visse l'Homo Habilis e successivamente l'Homo Erectus. Insomma Matera è un esempio di un ecosistema  straordinario che parte dalla preistoria e arriva fino ai nostri giorni attraversando vari piani :culturale, artistico, architettonico, naturale e urbanistico.


A Matera ho voluto dedicare dei versi a cui seguiranno le foto. 


A Matera

Matera
dai vividi splendori, 
ti ergi su due cuori 
di sassi e di dolori.
Tempio consacrato alla 
filosofia povera,
adornato di atavici stenti 
e di giorni iti alla 
malora.

Tu,
intima alcova
di un’anima nuda
che nell’amore di Maria
si ristora.
Si eleva sincera 
la tua umile pietra 
che di arte e di gloria 
lasciò il suo segno
nella storia.

Matera,
la mia anima si sposa
alla tua pietra,
la tua magnificenza
gli occhi mi sottrae
mentre deliziata affondo
nella tua terra 
di bellezza soave.

Caterina Alagna 






Chiesa rupestre di Santa Maria di Idris



 

Chiesa rupestre di San Pietro Barisano


Chiesa di San Francesco d' Assisi

Chiesa del Purgatorio


Chiesa di San Giovanni Battista


Duomo 


Matera di sera




Non ho postato le foto di tutte le chiese che ho visitato perchè sono numerose. Pensate che a Matera ce ne sono ben 156. Io, ovviamente, ho visitato le principali :-).

La poesia è una necessità. Il pensiero poetico di Antonio De Curtis


 "Non ho hobby, non vado a pescare e non raccolgo francobolli. In quanto a scrivere versi o canzoni, quello non è un hobby ma una necessità".

Antonio De Curtis


Con questo post inauguro una nuova sezione, quella dedicata alla poesia napoletana. Inizio omaggiando uno dei più grandi attori comici italiani, Antonio De Curtis, in arte Totò, distintosi soprattutto per la sua grande passione per il teatro e il cinema, ma anche per la stesura  di splendidi versi.

Il 15 febbraio del 1898 veniva alla luce nel rione Sanità di Napoli Antonio Vincenzo Stefano Clemente  attore, sceneggiatore, commediografo, poeta e paroliere. Figlio di una relazione clandestina tra Anna Clemente e il marchese Giuseppe De Curtis, il piccolo Antonio, risulterà all'anagrafe " Antonio Clemente, figlio di Anna Clemente e di N.N." Una storia che segnerà in maniera significativa tutta la sua vita, dal momento che combatterà per farsi riconoscere i titoli nobiliari che gli spettano. L'arcigno marchese Luigi De Curtis  impedisce a suo figlio Giuseppe di  contrarre matrimonio con una popolana. Anna, da sempre ribelle, non nasconde la sua gravidanza, mentre dal canto suo, Giuseppe, pur essendo innamorato di Anna, obbedisce tassativamente agli ordini di suo padre, tenendo segreta la relazione. Il piccolo Antonio così crescerà nella casa materna, in condizioni estremamente povere e disagiate. Non riceve regali a Natale né per il suo compleanno, ma solo freddo, fame e miseria. In cambio sarà nutrito con amorevole affetto da sua madre ( sarà proprio Anna Clemente ad affibbiargli il nomignolo Totò) e da sua nonna Teresa che una volta adulto lo vizierà accontentandolo in ogni capriccio. Non incline agli studi, a scuola si dimostra totalmente svogliato tanto che in quarta elementare viene retrocesso in terza. Sarà solo grazie alla forza di volontà di sua madre che porterà a termine i sei anni delle elementari, ottenendo un attestato che all'epoca vale come un titolo di studio. Ciò nonostante il padre lo iscrive alle ginnasiali, più precisamente al Collegio Cimino, un istituto per i figli dei poveri. Qui si può dire che termina la carriera scolastica del piccolo Antonio, e i genitori, ormai rassegnati, decidono di mandarlo a lavorare. Bisogna dire però che in collegio Totò viene colpito con un ceffone da un suo precettore, spazientitosi forse della sua eccessiva irrequietezza. Il ceffone gli devia il setto nasale, determinando col passare degli anni l'atrofizzazione della parte sinistra del naso conferendo al volto quella particolare asimmetria che lo distinguerà in maniera inconfondibile e che risulterà persino favorevole alla sua carriera di comico. Una volta fuori dal collegio svolge diversi lavori : da garzone a imbianchino, ma pitturare le case non gli interessa. Il lavoro gli provoca tristezza e pigrizia e, ogni volta che può, fugge per andare all'osteria di Don Aniello alla Stella per bighellonare con gli amici catturando le loro attenzioni esibendosi in imitazioni perfette dei malcapitati nel locale. Con l'entrata in guerra dell'Italia nel 1915 Totò si illude di poter ottenere una possibilità di riscatto arruolandosi nell'esercito, ma ben presto si accorgerà che la vita militare non fa per lui: non sopporta di alzarsi all'alba, la disciplina ferrea e le marce. Finge malesseri di ogni tipo con la speranza di ottenere mansioni meno faticose. Ma il suo atteggiamento non fa che irritare i suoi superiori che decidono di punirlo destinandolo al 182esimo battaglione di fanteria diretto in Francia. Con un'escamotage riesce ad evitare di finire in prima linea allo scoppio della Grande Guerra. Durante la sosta che il treno fa ad Alessandria mette in atto il suo piano di fuga.  Si getta a terra, inizia a digrignare i denti,  si contorce fino a farsi trasferire in infermeria e successivamente all'ospedale militare dove si sottopone a numerose iniezioni pur di non partire per la Francia.  Una volta rimessosi in forza viene trasferito all’ 88esimo reggimento di stanza a Livorno. Qui trascorre l'ultima parte della sua vita militare ed è proprio in questo periodo che subisce continui soprusi e umiliazioni da parte di un graduato. Si racconta che una sera su un tavolaccio, facendo il verso al suddetto,  se ne esce con una delle sue battute più famose " Siamo uomini o caporali?!" I commilitoni, sentendosi per una volta liberati dalla loro condizione e vendicati,  si abbandonano a uno scroscio di applausi e risa. Proprio quel particolare entusiasmo sprona Antonio  verso la carriera artistica,  in quanto le sue movenze, le sue imitazioni dei potenti, l'esasperazione dei particolari gli procurano un pubblico appassionato. Terminata la carriera militare si avvicina al teatro, ma con molto poco successo. Agli inizi degli anni '20 il padre lo riconosce e decide di regolarizzare il suo rapporto con la madre, sposandola, ma Antonio non ha ancora i titoli nobiliari che gli spettano. Nel 1922 si trasferisce con la famiglia a Roma e proprio qui riesce a farsi assumere nella compagnia comica teatrale di Giuseppe Capece per poche lire. Quando chiede un aumento, questi si rifiuta di concederglielo. Totò allora lascia la compagnia e si presenta al Teatro Jovinelli dove in breve tempo ottiene il successo. Di lì a poco  reciterà accanto ai più grandi attori di teatro riuscendo a farsi apprezzare come comico perché trascina il pubblico in un vortice di battute divertendo fino al delirio. Debutta poi nel cinema. Reciterà in 97 film, alcuni dei quali saranno vere pellicole di successo quali "Signori si nasce", "Toto' truffa", "Miseria e nobiltà". Arriverà a recitare persino con grandi registi del calibro di  Monicelli e Pasolini. Nel 1933 si fa adottare dal marchese Francesco Maria Gagliardi ereditando  i suoi titoli gentilizi. Ma sarà solo nel 1946 che il Tribunale di Napoli gli riconosce il diritto  a fregiarsi dei nomi e dei titoli di Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo. 
 
Ma veniamo all'Antonio De Curtis poeta. Quando parliamo della sua opera poetica è bene dire che Antonio De Curtis distingue la sua vera identità dalla maschera Totò. Le due identità sono ben separate e sarebbe sbagliato pensare alla personalità di Antonio De Curtis  come quella che siamo abituati a vedere nei suoi film. Antonio De Curtis usa la sua maschera per lavorare, per fare quello che più gli piace che è divertire il pubblico. È proprio lui ad affermarlo in un'intervista televisiva rilasciata a Lello Bersani. Quando quest'ultimo gli chiede che differenza ci siano tra lui e Totò, risponde: "C'è una grande differenza. Io sono De Curtis e lui è Totò, che fa il pagliaccio, il buffone, infatti in casa, lui normalmente mangia in cucina, mentre io mangio nella stanza da pranzo. Io vivo alle spalle di Totò, lo sfrutto. Lui lavora ed io mangio." Le sue poesie sono le espressioni, le idee, i sentimenti dell'uomo Antonio De Curtis che si sente libero di sfuggire agli obblighi della maschera per poter essere finalmente se stesso, per offrire al pubblico l'autentica immagine di sé. Gran parte della sua produzione è in dialetto napoletano ma è bene precisare che le sue poesie sono scritte in modo che risultino comprensibili ai più. Non manca, comunque, di scrivere liriche anche in italiano. I componimenti affrontano varie tematiche quali l'amore, le donne, la vita, la morte, la povertà e le ingiustizie sociali. In esse è ben chiaro il pensiero di un uomo che viene dal basso, dalla povertà più esasperante.. E' dalla parte dei più deboli, dei poveri. Nelle sue poesie le persone dimenticate dalla società ottengono la dignità che meritano. Nel 1964 viene pubblicata la sua raccolta poetica intitolata "A livella" che comprende 26 poesie che Antonio de Curtis scrive a partire dagli anni ‘50. Un'altra raccolta poetica " Dedicate all'amore" viene pubblicata nel 1977, in occasione del decennale della sua morte, da parte della sua ultima compagna di vita e suo grande amore, Franca Faldini. In questa raccolta sono riunite per lo più poesie d'amore dedicate appunto alla sua compagna. Altre poesie vengono, in fine,  raccolte insieme a quelle già edite, nel volume Tuttototò nel 1991.
 
 

Felicità!
 
Vurria sapè ched'è chesta parola,
vurria sapè che vvo' significà.
Sarà gnuranza 'a mia, mancanza 'e scola,
ma chi ll'ha ntiso maje annummenà.
 
 
Traduzione in italiano
 
Vorrei sapere cos'è questa parola,
vorrei sapere cosa vuol significare.
Sarà ignoranza la mia, mancanza di scuola,
ma chi l'ha mai sentita nominare.
 
 
 
 
La donna
 
Chi l’ha criata è stato nu grand’ommo,
nun ’o vvoglio sapè, chi è stato è stato;
è stato ’o Pateterno? E quanno, e comme?
Ch’avite ditto? ’O fatto d’ ’a custata?
Ma ’a femmena è na cosa troppo bella,
nun ’a puteva fà cu ’a custatella!
Per carità, non dite fesserie!
Mo v’ ’o ddich’io comm’è stata criata:
è stato nu lavoro ’e fantasia,
è stata na magnifica truvata,
e su questo non faccio discussione;
chi l’ha criata è gghiuto int’ ’o pallone!
 
Traduzione  in italiano

Chi l'ha creata è stato un grande uomo,
non voglio saperlo, chi è stato è stato;
è stato il Padreterno? E quando, e come?
Cosa avete detto? Il fatto della costola?
Ma la donna è una cosa troppo bella,
non poteva farla con la costoletta!
Per carità, non dite fesserie!
Adesso ve lo dico io com'è stata creata:
è stato un lavoro di fantasia,
è stata una magnifica trovata,
e su questo non faccio discussione;
chi l' ha creata è andato nel pallone!
 
 
'A vita
 
'A vita è bella, sì, è stato un dono,
un dono che ti ha fatto la natura.
Ma quanno po' 'sta vita è 'na sciagura,
vuie mm' 'o chiammate dono chisto cca'?
E nun parlo pe' me ca, stuorto o muorto,
riesco a mm'abbusca' 'na mille lire.
Tengo 'a salute e, non faccio per dire,
songo uno 'e chille ca se fire 'e fa'.
Ma quante n'aggio visto 'e disgraziate:
cecate, ciunche, scieme, sordomute.
Gente ca nun ha visto e maie avuto
'nu poco 'e bbene 'a chesta umanità.
Guerre, miseria, famma, malatie,
crestiane addeventate pelle e ossa,
e tanta gioventù c' 'o culo 'a fossa.
Chisto nun è 'nu dono, è 'nfamità.
 
Traduzione in italiano
 
La vita
 
La vita è bella, sì, è stato un dono,
un dono che ti ha fatto la natura.
Ma quando poi questa vita è una sciagura,
voi me lo chiamate dono questo qua?
E non parlo per me che, storto o morto,
riesco a guadagnare una mille lire.
Ho la salute e, non faccio per dire,
sono uno di quelli che ci sa fare.
Ma quanti ne ho visti di disgraziati:
ciechi, paralitici, ritardati, sordomuti.
Gente che non ha visto e mai avuto
un poco di bene da questa umanità.
Guerre, miseria, fame, malattie,
cristiani diventati pelle e ossa,
e tanta gioventù col culo alla fossa.
Questo non è un dono, è infamità.

 

 
 

Ti sentivo

Ti sentivo pulsare sotto la pelle. Nel tuo sguardo ascoltavo un boato silente mutarsi in poesia. Ancora sussurro la tua placida voce a sazia...